Gabriele Arruzzo, Untitled (compendio), 2012, Smalto E Acrilico Su Tela E Cornice In Legno,157×187 Cm

31.05 – 14.07.2012

GABRIELE ARRUZZO  LUIGI CARBONI – In Opposte Coincidenze

a cura di Andrea Bruciati

Antonio Colombo è lieto di presentare la doppia mostra personale di Gabriele Arruzzo (1976) e Luigi Carboni (1957) In Opposte Coincidenze.

Viste insieme le loro opere sembrano non avere nulla in comune, i nostri preconcetti sulla pittura assegnano, infatti, a questi artisti ruoli opposti. Questo progetto ci offre la possibilità di guardare insieme il loro lavoro e ci fornisce l’occasione per trovare le relazioni comuni concentrando l’attenzione dell’osservatore sulla logica della differenza. Tutto è lì sotto i nostri occhi: figurativo e astratto, decorazione e ornamento, memoria e ricordo, forma e colore, dettaglio e insieme, stasi e ritmo. Il paradosso di questa dialettica reciproca e simultanea attraversa il senso della mostra, dove nulla è offerto direttamente e allo stesso tempo tutto si rivela. Due distinte generazioni che affrontano in modo diverso lo stesso medium artistico dove il dato biografico vuole il primo allievo del secondo all’Accademia di Belle Arti di Urbino.
Proprio l’eredità ed il mistero insito nelle arti figurative della città feltresca è per Gabriele Arruzzo il filo conduttore di questo nuovo ciclo di lavori dove, come tipico del modus operandi dell’artista, l’Io si fonde con il Noi e il dipinto stesso diventa luogo di questo convivio. In una calcolata e piatta costruzione pittorica, erede più della tradizione bizantina che della Pop Art americana, l’artista amalgama gli elementi del suo personale universo con i rapporti aurei di Luca Pacioli o con gli schemi decorativi desunti dalla pavimentazione raffigurata da Piero della Francesca all’interno de “La Flagellazione di Cristo”, proprio conservato ad Urbino. Ogni sua opera, come il teatro, diventa così il luogo dove la Storia viene messa in scena: racconto di come la pittura si autogenera nel tentativo di superare, attraverso l’Arte, i limiti stessi dell’umana esistenza.
Per Luigi Carboni le pitture annegate nel colore definiscono il racconto espositivo dominato dall’ambiguità e giocato sulla relazione tra casualità e opera d’arte, metafora implicita sulla contiguità tra vedente, veggente e visionario. Nei dipinti una trama intricatissima di segni e di decori si addensano sulla superficie, l’opera accoglie e racconta una porzione di mondo attraverso una grafia instabile e indelebile, costruendo un tessuto complesso di immagini in cui la riconoscibilità figurativa si disperde nell’indefinizione dei piani prospettici e nella totale assenza di una spazialità tradizionale. L’attenzione dell’artista è rivolta a mettere in discussione il confine tra astrazione lirica e figurazione del quotidiano, tra stile decorativo e risultato intimista, rendendo le opere impermeabili a qualsiasi sviluppo di ordine narrativo.
Queste pitture nella pienezza dei vari codici usati, parlano di un’arte della pluralità degli opposti, dove l’invenzione artistica assume le caratteristiche di una riflessione concettuale. “Classicità e sperimentazione sono il paradosso di una dialettica reciproca e simultanea, la bellezza contemporanea è percepita e concepita come una composizione di parti in contesa tra loro, dove il piacere visivo può trasformarsi in qualsiasi momento in abuso e dove l’oggetto più silenzioso può diventare molesto senza che ne capiamo i perché” spiega Carboni.

Gabriele Arruzzo è nato a Roma nel 1976, vive a lavora a Pesaro. Tra le recenti mostre personali ricordiamo nel 2012 ”Essere un’isola” L’arca – Laboratorio per l’arte contemporanea, Teramo e presso Casa Natale di Raffaello e Bottega di Giovanni Santi, Urbino, e “L’affossamento”, Alberto Peola, Torino, nel 2008 “As Himself”, Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano, “Hortus Conclusus” Galleria Alberto Peola, Torino, nel 2006 “Personal Jesus”, Galleria San Salvatore, Modena, nel 2005 “The Funky Revenge”, Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano.
Tra le mostre collettive, segnaliamo: nel 2011 Hirschfactor. Die Kunst des Zitierens, ZKM Museum fur Neue Kunst, Karlsruhe, “Tra il sublime e l’idiota”, Sale napoleoniche Palazzo Parisani Bezzi, Tolentino (MC), “Padiglione delle Accademie di Belle Arti”, Tese di San Cristoforo (Arsenale Nord), 54° Biennale di Venezia, nel 2010 “Fantasilandia”, Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano, “Premio Agenore Fabbri (2009/10), Fondazione VAF/MART, Rovereto, nel 2009 “Love me Fender”, Museo Internazionale e Biblioteca della Musica, Bologna, a cura di L.Beatrice, nel 2008 XIII Biennale d’arte Sacra Contemporanea, Museo Stauros, Santuario di S.Gabriele, Teramo, nel 2007 “SerrOne”, Biennale Giovani Monza, Serrone della Villa Reale, Monza, “Arte Italiana”. 1968-2007 Pittura, Palazzo Reale, Milano, a cura di V.Sgarbi, nel 2006 “Ars in Fabula”, Palazzo Pretorio, Certaldo, (FI), nel 2005 “Premio Cairo”, Palazzo della Permanente, Milano, “Dodici pittori italiani, dieci anni dopo”, In Arco, Torino, nel 2004 “Allarmi, zona creativa temporaneamente valicabile”, Caserma De Cristoforis, Como, “Keep’n touch”, Progetto Spazio Aperto, GAM Bologna-Aeroporto Guglielmo Marconi, Bologna, nel 2002 “Out-In”, Centro per le Arti Visive “Peschiera”, Pesaro.

Luigi Carboni è nato nel 1957 a Pesaro dove vive a lavora. Numerose le esposizioni personali, le principali: Galleria Spazia, Bologna; Galleria G7, Bologna; Jack Shainman Gallery New York; Jack Shainman Gallery Washington; Galleria Lumen Travo, Amesterdam; Galleria Alberto Weber, Torino; Studio Scalise, Napoli; Studio La Città, Verona; Studio Barnabò, Venezia; Galleria Franca Mancini, Pesaro; Galleria Giò Marconi, Milano; Otto Gallery, Bologna; nel 2003 è invitato alla Biennale D’Arte Internazione di Los Angeles, con una mostra personale alla Galleria Patricia Faure, Santa Monica, nel 2006 espone nella Sala del Castellare Palazzo Ducale di Urbino, a cura di Raffaelle Gavarro, nel 2009 l’ esposizione al Centro Arti Visive Pescheria, Pesaro, curata da Ludovico Pratesi e nel 2010 la mostra MACRO wall: Eighties Are Back al MACRO, Museo d’Arte contemporanea di Roma.
Principali collettive: 1980: Lo spazio possibile, a cura di Marilena Pasquali, Galleria d’arte moderna, Ancona. 1988: Geometrie dionisiache, a cura di Lea vergine, Rotonda della Besana, Milano; Arte italiana, a cura di Flavio Caroli e Dang-Ho Liu, Museo d’arte moderna Taiwan; Acquisizioni, Galleria d’arte moderna, Bologna. 1989: Artegiovane, PAC, Padiglione arte contemporanea, Milano. 1991: Now in Italy, Kodama Gallery, Hosaka. 1992: Cadencias, figure dell’arte italiana degli anni ’90, a cura di Pier Giovanni Castagnoli, Museo d’Arte Contemporanea Sofia Imber, Caracas; Museo d’Arte Contemporanea, Bogotà; Il teatro dell’arte, a cura di Vittoria Cohen, Galleria d’Arte Moderna Cesena. 1993: Italia-America L’astrazione ridefinita, a cura di Demtrio Paparoni, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, San Marino. 1994: Mistero e mito, momenti della pittura italiana 1930-1960-1990, a cura di Fumihiko Tanifuzi, Fukujama Museum of Art, Chiba Prefectural Museum of Art, Kochi Museum of Art, Iida City Museum (mostra itinerante in Giappone). 1995: L’astrazione, Galleria d’arte moderna, Gallarate. 1996: Ultime generazioni – XII Quadriennale, Palazzo delle Esposizioni, Roma. 1997: Exelixis, a cura di Alice Rubbini,Fondazione Melina Mercuri, Atene; Die Andere Richtung der Kunst, Dumontkunstalle, Colonia. 1998: Arte italiana: ultimi 40 anni, pittura aniconica, a cura di Danilo Eccher, Galleria d’Arte Moderna, Bologna. 2001: Generazione astratta, a cura di Beatrice Buscaroli e Alberto Fiz, Fondazione Bandera, Varese; “Terra! Terra!“ a cura di Andrea Busto, Centro per l’Arte Contemporanea Carraglio (Cn). Cross Roads” Arte contemporanea della collezione Tonelli, a cura di Alberto Boatto, Polo Museale Internazionale Castello Colonna, Genazzano. 2002: “Materia d’arte” Opere della collezione della GAM, a cura di Peter Weirmair e Dede Aureli, Galleria d’Arte Moderna, Bologna. 2003:“Assenze / presenze, una nuova generazione di artisti italiani” A cura di Emmanuel Lambion, Centro Culturale Francese Le Botanique, Bruxelles. 2004: “ W lo SPAC ” a cura di Renato Barilli, Palazzo Tiranni Cagli (PU). 2005:”L’opera al nero” a cura di Marisa Vescovo, Mole Vanvitelliana Ancona. 2007: “Voi (non) siete qui” a cura di Omar Calabrese, Magazzini del Sale, Siena. “Generazione Astratta” a cura di Beatrice Buscaroli, Galleria d’Arte Moderna Le Ciminiere, Catania. 2008: “ Non so private ” a cura di Gianfranco Maraniello, Galleria d’Arte Moderna, Villa delle Rose, Bologna. 2009: “Plenitudini” a cura di Alberto Zanchetta,Galleria Nazionale d’arte Moderna e Contemporanea, San Marino.2011: “ The Gentlement of Verona ”, a cura di Andrea Bruciati, Galleria d’Arte moderna, Palazzo Forti, Verona.
Nel 1988 la Galleria d’Arte moderna di Bologna acquista una sua opera, seguono nel 1990 le acquisizioni del Palazzo Reale, Museo D’Arte Contemporanea di Milano, Della Comit, che lo inserisce nella Collezione della Banca Commerciale Italiana, con tre opere; della Banca Intesa, con un quadro e due sculture della serie “ Grate ”, della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna che lo inserisce nella collezione d’Arte del ‘900, nel 2004 viene inserita una sua opera nella Collezione della Farnesina, nel 2005 due grandi opere, una delle serie “Mappe” l’altra della serie “Bianchi Ombrati”, vengono acquistati e inseriti nella Collezione della Banca Unicredit.

di Andrea Bruciati

“In questo mondo di forme ogni cosa sovrabbonda e, in qualche modo, ribolle.”
Platone, Fedro

Per quanto concerne il valore del linguaggio autonomo della superficie pittorica, va rilevato che già da Alois Riegl si conosce il legame fondamentale fra l’optisch e il taktisch, messo in luce grazie alla nozione di piano tattile, piano che non è propriamente coincidente con la nostra percezione di tavolo ottico, che ci si illude di scorgere a una certa distanza dalle cose, ma quello suggeritoci dagli accertamenti del tatto. Da un punto di vista retinico l’occhio in questo territorio non possiede niente, anzi è come spossessato da un effetto di sguardo alienante: la certezza di impenetrabilità è sì forte che si trasforma nella torbida evidenza di un brusco avanzare o di un gonfiarsi dello spazio stesso. Siamo dinanzi ad un frangente in cui la suggestione delle percezioni tattili genera choc, non senso, addirittura trauma; prima pulsione che, letta secondo una indagine psicanalitica, potrebbe essere accostata a pratiche pittoriche prossime ad autori come Gabriele Arruzzo. La sua pittura è apparentemente vissuta da personaggi che nel loro disporsi come figurazione planare, illustrazione o narrazione che sia, fa sì che il campo pittorico risulti autonomo rispetto all’iconografia rappresentata, che vive pertanto da sé sulla superficie. In questo senso pur non essendo astratta, la sua ricerca risulta ‘figurale’, per utilizzare un’espressione di Gilles Deleuze. Questa distinzione viene introdotta per garantire una dimensione del pittorico non compromessa dal tradizionale rapporto mimetico, copia-modello, senza per questo rinunciare alla figura ma restando su un piano più sensibile alla rappresentazione. Dello stesso avviso Luigi Carboni che trova, nel medesimo insistere in un campo liminare all’astrazione, fondato espressamente sulla potenza del colore, uno scambio speculativo ed un’urgenza espressiva vicini a quello del filosofo. La sua pittura benché appaia in prima istanza la risultante di una pura funzione ottica, attraverso una modulazione incessante della pelle del quadro, sollecita al contrario, una funzione propriamente aptica. Questo non vieta che il colore si dia come un avvicinamento senza fine del “corpo vedente” di Maurice Merleau-Ponty, vale a dire che funga come una carezza, asintotica all’integrità della carne, e come un effetto di lembo, di choc, di lacerazione del piano stesso.

I lavori qui presentati sono da iscrivere in un ipotetico dialogo, avvenuto presso la cittadella di Urbino, patria comune per i due pittori che insegnano presso l’Accademia. La sede ducale quale topos storico-artistico precipuo per attingere ad una riflessione sul contemporaneo, cioè su quell’arte proto concettuale che può amabilmente ricollegarsi allo studio della matematica e dell’immagine formata (Gabriele Arruzzo, senza titolo_ compendio), di cui la città era culla nell’età umanistica. Tavola paratattica in cui l’iconografia postmoderna si dipana attraverso apparenti contraddizioni, riportando alla luce un patrimonio dimenticato con un’operazione da conoscitore ed archivista, in Arruzzo la tela diventa incunabolo di immagini e archivio a cielo aperto. Nella sua pittura siamo dinanzi al paradosso di una rappresentazione iconografica ove spicca l’assenza del soggetto e le figure si mostrano solo in quanto convenzioni (God’s portrait). Medesimo controllo per le forme suggerite attraverso una griglia rigorosa in Carboni dove, nell’apparente caoticità dei piani, non è previsto alcun margine di improvvisazione. Presa esperienziale campo di battaglia intimo per uno scontro senza fine? Questi quadri raccolgono semi sparsi, si organizzano, finalmente liberi, leggeri, colorati e pieni di senso, capaci come atomi, cellule, idee, di creare una forma differente (In assenza di prove).

Eppure per entrambi, nelle due specifiche produzioni, si assiste ad una sorta di omaggio, incentrato iconograficamente dalla modulazione geometrica dell’immagine. Che si tratti di speculazione spaziale per Carboni o di riflessioni para scientifiche, che non trascendono dal ruolo intellettuale dell’artista per Arruzzo, il campo pittorico è certo arena per una autonomia del linguaggio, sensoriale certo ma nel contempo libera apertura a stati sovradimensionali. In questo senso la tradizione rinascimentale urbinate si vivifica nel XXI secolo attraverso quel dialogo con la Metafisica dove la sospensione del reale ben si coniuga al controllo serrato della materia mediante il valore conferito al disegno, di cui entrambi gli artisti sembrano rinverdire i fasti. Che sia laboratorio di studio, elucubrazione pura del progetto iniziale di composizione per Arruzzo (La flagellazione del 5), o fibrillazione vibrante della pasta pittorica per Carboni (Per lungo tempo), è un indubbio fil rouge che coadiuva quel fine ultimo della pittura, che è di andare oltre la pittura stessa. L’attenzione alla linea, il suo riprodursi (Luigi Carboni, Astratto ossidazione) o il suo essere traccia cloisonné per disposofiche accumulazioni, produce composizioni visive, rapporti aritmetici apparenti, accordi che contribuiscono alla creazione di una nuova armonia.

In questa prospettiva, ricerca fra rappresentazione e astrazione, si colloca l’indagine comune dei due autori: sia in Arruzzo che in Carboni risiede urgente la scoperta di uno spazio differente volto nel creare nuovi dispositivi mentali, aperti ad universi paralleli, dove le forme, nella loro autonomia linguistica, acquistano nuova vita, che ribolle.

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